sabato 15 giugno 2013

L'abitudine alla normalità

Spesso sentiamo questa locuzione: non è normale. Solitamente volta a indicare accadimenti o cose percepite come sbagliate. Quindi ciò che è normale, nel lessico corrente, è giusto, o comunque accettabile.
Ma cos'è la normalità, ve lo siete mai chiesti? Voglio dire, oltre i tendaggi di velluto che la nostra mente tira sull'oggettività delle cose, per cui spesso ci si arrende a delle concezioni dominanti, avete mai provato a capire cosa sia la normalità?
La normalità è, niente di più semplice, un'abitudine. Come prendere il caffè o indossare il pigiama la sera. Del resto vi è mai capitato di considerare alcune delle vostre abitudini anormali?
Ed è in quanto abitudinarie che le cose ci appaiono, appunto, normali.
In definitiva tutto ciò a cui siamo abituati è normale.
Nel paese della guerra eterna, sotto cieli sulfurei venati di rosso, le bombe piovono allagando di morte ogni luogo; chi ancora vive striscia e fugge di rifugio in rifugio, e dopo anni di cieco orrore si è abituato a correre sempre. E per lui, questo, è normale. Poiché vi è abituato. 
In altri luoghi, invece, giovani ben nutriti spingono le proprie passioni con l'accanimento che è proprio dell'idiozia, sotto cieli colore dei pastelli in un benessere che fa pensare. E per loro questa è l'abitudine e la normalità.
Sono solo due esempi, i primi venutimi in mente, ma definiscono il concetto di normalità che gira sempre attorno alle abitudini. Ma ad ogni modo, le stesse abitudini cosa sono?
Certo sono situazioni ricorrenti, non v'è dubbio; ma come si formano, appunto, le situazioni ricorrenti, che danno poi vita alla normalità?
Esse sono senza dubbio frutto di un processo culturale. Già, la cultura. Ma proviamo a far finta di ricominciare da capo e spiegare cosa sia la cultura.
A grandi linee e molto in generale la cultura è l'insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha assorbito durante la propria vita, rielaborate in seguito attraverso profonde meditazioni.
Ma che vuol dire?
Semplicissimo: cultura è tutto ciò che la mente apprende. Per semplificare.
E badate bene, non stiamo parlando solo di Dostoevskij o Nietzsche, o della cultura intesa come studio intellettualistico di una qualche intellighenzia. La cultura è, principalmente, tradizione. La lingua, la cucina, le interazioni umane e lo stile di vita. Ecc ecc ecc. Le tradizioni di un popolo, la sua religione e l'architettura, i riti sciamanici superstiziosi e l'insieme delle sue abitudini quotidiane sono cultura. La cultura, come detto, di un popolo.
Ad esempio, come dicevo prima, l'abitudine di prendere il caffè è, appunto, un'abitudine culturale, poiché fa parte della nostra tradizione ed è giunta a noi attraverso schemi mentali acquisiti nel corso degli anni. Quindi è Cultura e tradizione, quindi abitudine e, di conseguenza, normale.
Allora cos'è la normalità, la normalità è la nostra tradizione culturale?
Certo lo è, ma non è solo questo. Vi sono infatti altre due cosette da analizzare. Ma sarò breve. Ecco una foto, mi hanno consigliato di usarne per alleggerire il tono dei post. Così eccovela.


Davvero, non mi andava di cercare troppo. Così ho tirato su la prima foto di Hipster che ho visto. Così lui è appunto un Hipster. Non ci sono dubbi che sia innanzitutto una persona insicura, più cose ti metti a dosso e più necessiti di difese contro l'esterno. E così fanno gli hipster, così insicuri da dover fingere di essere qualcosa che non sono e ricoprire poi quella cosa con occhialoni spessi (andavano anche negli anni 60, servivano a una generazione ancora poco maliziosa che doveva nascondervisi dietro) anelli collane ecc ecc. Non so se tutti gli hipster siano così. Non mi interessa. Di sicuro tutti gli adolescenti lo sono, ma neanche questo mi interessa. Quello che interessa ora è: sono normali?
Ovvio che sì. Ma perché? Non fanno parte della tradizione, eppure sono un fenomeno culturale. Come si spiega?
Beh, certo la cultura non viene solo dal passato, si manifesta normalmente in una civiltà industriale attraverso uno dei fenomeni più consumistici: le mode. Le mode, vedete, sono l'essenza platonica dell'effimero. Servono prevalentemente a fissare un solco intergenerazionale, indispensabile in una società dei consumi (altrimenti non si venderebbe più niente, no?), durano un po' e poi puff, spariscono. Salvo essere ripescate al momento giusto.
Dicevo quindi che, sì, sono normali, in quanto percepiti - nonostante appaiono astrusi a chi non vi è avvezzo - come il consueto mutamento esteriore delle generazioni ultime. Anche qui poi, sul fatto che nell'era industriale si sia tornati a un approccio di costume sulle relazioni sociali e sessuali ci sarebbe da dire, una vera regressione della specie. Ma magari più avanti se ne parlerà. Comunque sono normali. Certo, l'anziano faticherà a riconoscere, specie l'anziano che viene da una società contadina e non è nato borghese. Ma il semplice esporsi nel quotidiano allo strano lo rende normale. E quindi sì, ci si abitua. In fondo la stessa specie umana ha vinto nel pianeta perché come nessun altra si adatta.

Ma proviamo a tornare all'inizio, fate quindi finta che stia ricominciando.
Se la normalità, come spiegato finora, è solo quella visione della realtà a cui siamo più abituati, e quindi non è niente - perché se di semplice impressione della mente trattasi non è nulla, siamo nella metafisica, e non ha per cui alcun valore intrinseco -, e di sicuro non è oggettiva né veritiera, allora come si può dire se una cosa sia normale o meno?
Come posso dire se questa è normale o non lo è?
Io, semplicemente, non posso.
Come non posso dire se una cosa è vera né posso dire se una cosa è giusta. Non posso dire, a ben pensarci, neanche che ora è - perché esiste forse un tempo?
La mente umana deve, per capire, imprigionare nei suoi schemi la realtà. Per capire che la realtà muta, e ricordarsi i suoi mutamenti, ha creato il tempo. Per dare un senso alle sue azioni ha intrappolato le cose nel concetto di verità, di giusto o sbagliato, di bene e male. Infine per difendersi da ciò che non capisce ha creato la normalità, ossia tutto ciò a cui è abituata.

Niente è normale, il normale non esiste, lo creiamo noi come tante altre cose. L'anormalità è solo qualcosa a cui non siamo abituati, che non capiamo, un concetto che ci sfugge, un modo di operare a noi estraneo. È anche, ovviamente, quello di sapersi muovere solo dentro la propria normalità, un limite. Un enorme limitazione ai nostri pensieri e alle nostre azioni. Insomma, a noi stessi. La verità è che così come ci sono infinite verità vi sono anche infiniti schemi di normalità, e tutti andrebbero compresi o contemplati. Tra l'altro mi dicono anche che ci si diverte di più, non è vero?
Allora è vero!
Comunque pensateci la prossima volta che sentirete la locuzione "non è normale", pensate a tutto quello che c'è dietro e, no, per carità, non dite niente, ma tra di voi potrete fare un risolino.

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